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“Sano” sì, ma anche “giusto”. Quando biologico si fonde con responsabile

Nov 29, 2021

Per gli ateniesi dell’epoca classica, il concetto di “buono” non poteva essere distinto da quello di “bello”. Per intenderci, senza l’uno non esisteva l’altro.

Oggi, nel nostro indissolubile doppio ruolo di cittadini-consumatori, possiamo trovare un parallelismo con quanto credevano i Greci del V secolo a.C.: quello tra “bontà” del prodotto scelto – per salubrità o minore artificiosità – e il suo essere eticamente “giusto” – perché realizzato rispettando i diritti di chi lo ha fatto. O per usare un aggettivo carico di significati, “responsabile”.  

I dati chiariscono meglio questa idea. Nel 2002, il 28% degli italiani affermava di adottare scelte di consumo cosiddetto responsabile. Diciotto anni dopo, nel 2020, questa percentuale è salita al 62,3%, con il 219% di aumento ad attestare una tendenza ormai più che consolidata (OCIS). Espressioni quali consumo responsabile o critico, spesa sostenibile, etica dei consumi, descrivono un fenomeno sempre più ampio, divenendo anche elementi centrali nella rappresentazione dell’identità sociale di una non trascurabile parte di cittadinanza.

In questo panorama di consumi consapevoli, quello verso il biologico emerge sugli altri per importanza di diffusione e longevità.  Se nel 2012, il 53% delle famiglie aveva acquistato almeno un prodotto bio nel corso dell’anno, nel 2021 questa percentuale è salita all’89%. Non solo. Più della metà delle famiglie italiane ha consumato cibo e bevande bio almeno una volta alla settimana, avendo nel 50% dei casi il biologico come prima scelta (Nomisma 2021).

Torniamo al concetto di “buono” da consumare e “giusto” da acquistare. Una sovrapposizione che ci porta alla nozione di “responsabilità sociale”, sotto la quale trovano spazio questioni di fondamentale importanza, quali il rispetto dei diritti dei lavoratori, delle minoranze, delle comunità, l’adozione di comportamenti equi ed etici sul piano delle scelte di governo (a tutti i livelli), la lotta alla corruzione e alla discriminazione, la protezione e la promozione della salute degli individui e dell’ambiente.

Questo è quello che, probabilmente, si aspetta una fetta di consumatori attenti quando si rivolge a produttori che hanno scelto il biologico. Per questa ragione come ci spiega Claudia Strasserra, Sustainability Manager di Bureau Veritas, “oggigiorno le aziende dovrebbero tenere in considerazione la crescente sensibilità dei consumatori riguardo a temi quali la tutela dei lavoratori o l’attenzione all’ambiente. Ciò significa non fermarsi al biologico, pur importante, ma allargando lo spettro del proprio impegno a materie che chiamano in causa la responsabilità sociale e ambientale. Così da farne due pilastri della propria strategia. In tutta la supply chain”.

Un modo per dare un segnale di discontinuità rispetto a quanto, purtroppo, accade nel nostro Paese dove la piena conformità alle norme sui diritti dei lavoratori è tutt’altro che scontata. Come attestano sia i numerosi casi di cronaca estiva relativi ad episodi di sfruttamento durante la raccolta di frutta e verdura nelle campagne del Mezzogiorno (ma non solo), sia alcune recenti notizie che coinvolgono realtà industriali ben più strutturate.

Secondo i recenti dati dell’osservatorio Placido Rizzotto sarebbero circa 180 mila le vittime del caporalato su oltre 2,6 milioni di lavoratori irregolari: con l’agricoltura a guidare questo triste primato. Lo stesso fraintendimento può esserci quando si tratta di accostare biologico e basse emissioni inquinanti. È arbitrario, infatti, credere che un prodotto bio sia – in quanto tale – anche rispettoso dell’ambiente. 

Inoltre, come ricorda Fabio Bianciardi, responsabile commerciale di QCertificazioni, la definizione di biologico si basa “sul rispetto di un metodo di realizzazione che ne fissa i criteri e che, pertanto, non ha nulla a che vedere con questioni di natura etica. La certificazione bio racconta come il prodotto sia conforme a norme di produzione, specialmente in quella primaria che ha a che vedere con l’agricoltura e i sistemi di coltivazione”.   Temi come il rispetto dei diritti dei lavoratori, una bassa impronta di carbonio e la salvaguardia dell’ambiente “pur presenti all’interno dei regolamenti sul biologico, non ne fanno parte come elementi cogenti”.

Come si diceva in apertura, è infatti difficile separare i piani: una produzione che non si faccia carico dell’attenzione all’ambiente e alla tutela dei lavoratori non è in grado di rispondere appieno alle nuove esigenze del mercato. Ne hanno conoscenza diretta quelle aziende che hanno scelto di andare oltre la certificazione per il solo biologico, riuscendo a soddisfare le più ampie aspettative del consumatore.

Articolo pubblicato sul n. 9/2021 della rivista Alimenti & Bevande.

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